Villeggiatura e paltò: due parole a rischio di estinzione: Nel 2020, un sondaggio dal titolo “Parole a rischio di estinzione: voi quale salvereste?” mi ha fatto riflettere su quali parole io, traduttrice, insegnante e amante della lingua italiana, salverei.
Con le classi di italiano e con le mie colleghe in Inghilterra, spesso ci soffermiamo sulle singole parole, il suono, l’origine, quelle che non si usano più, quelle che non esistevano e si fanno spazio grazie ai nuovi mezzi di comunicazione.

Ma se io dovessi salvare una parola oggi sceglierei…VILLEGGIATURA, che con VILLEGGIANTE, è proprio una “roba dei miei tempi”. Una parola che non si sente più…semplicemente perché corrisponde a qualcosa che non si fa più.
La Villeggiatura
Villeggiatura è una parola che ha il sapore delle grandi partenze estive (la mia era su una Fiat 600 color caffè-latte, carica di borse e viveri, arrampicata sulla strada volterrana, sulla via del mare) Le case delle vacanze si aprivano a fine anno scolastico e si popolavano di familiari che si alternavano fino al fatidico 1 Ottobre, San Remigio, primo giorno di scuola, data che riportava alla normalità.

Quello era il tempo della Villeggiatura, per molti, ma non per tutti, questo è vero. Di certo tuttavia per più italiani di quanti adesso riescano a permettersi delle vere vacanze e non le sfacchinate dei “fine settimana lunghi”: schizofreniche pause a singhiozzo alla ricerca del break- relax-detox su e giù per le strade affollate.
Inoltre, “ai miei tempi”, la Villeggiatura era una cosa tutta al femminile. La spiaggia, quella dei Bagni, con il bar e le cabine, era dove si svolgeva la vita sociale e, ogni ombrellone, diventava “casa di”…Maria, Francesca, la Chicchi, la Dude,…

I maschi apparivano nei fine settimana con le camicie a maniche corte ed un’aria da pesci fuor d’acqua in quelle comunità femminili solidali e unite da settimane di vita insieme. Diciamocelo…l’arrivo di mariti e padri era un po’ vissuto come “elemento di leggero disturbo”, ma nessuna osava dirlo.
Con la parola VILLEGGIATURA mi tornano alla mente persino degli odori, quello del croccante con le noccioline veduto dal “chiccaio” in pineta ed una serie di immagini che mi passano davanti come un fil a rallentatore…il pranzo rigorosamente a casa (tra le 12,30-13), il riposino dopo pranzo, obbligatorio per noi bambini(con le persiane accostate e il concerto delle cicale fuori), il mare la mattina e la pineta il pomeriggio ( che troppo mare rende nervosi…) e guai a invertire l’ordine!

E i tramonti di fine estate sul mare calmo come olio accanto al corpo caldo di sole di mia mamma, quando tutto sembrava ancora possibile e sicuro. Per tutti questi motivi e ancora di più io salverei dall’estinzione questa parola dal sapore vintage. Un’ode alle estati a piedi nudi, al tempo che scorre lento e senza impegni programmati, al lusso dell’annoiarsi …
E se infine mi concedessero una seconda scelta…ne salverei anche un’altra di parole: IL PALTO’. Mio nonno, classe 1910, che usciva elegante ogni giorno con il suo cappello e l’immancabile cappotto blu: il paltò blé, come lo chiamava lui. (L’articolo potete trovarlo anche qui )